Messaggio dell'Arcivescovo dell'Aquila
LE RAGIONI DEL PERDONO
MESSAGGIO DELL'ARCIVESCOVO DELL'AQUILA, MONSIGNOR GIUSEPPE PETROCCHI, ALLA COMUNITÀ ECCLESIALE E CIVILE IN OCCASIONE DELLA PERDONANZA 2014Carissime sorelle e carissimi fratelli in Cristo, la pace del Signore abiti nel vostro cuore e vi rimanga sempre!
Spesso, quando mi sono trovato a parlare di misericordia con chi era convinto di essere dalla parte del giusto, mi sono sentito dire: “perdonare, perché? So bene che è l’altro ad avere torto!”. Poi, a queste frasi stroncanti, seguiva quasi sempre l’elenco delle cattiverie sofferte per colpa di chi si era comportato male. Allora rispondevo: “proprio perché hai ragione, puoi dare il perdono: altrimenti dovresti chiederlo!”; e aggiungevo: “se poi mi domandi il motivo per cui, secondo il Vangelo, tu devi perdonare, la risposta è immediata: perché sei stato perdonato!”.
Infatti il Padre celeste, per mezzo di Gesù crocifisso-risorto, ha spalancato davanti a noi la porta del Suo perdono: perciò anche noi dobbiamo aprire con generosità la mente e il cuore nei confronti dei nostri debitori, ricordando sempre che il perdono che abbiamo ricevuto è infinitamente più grande di quello che possiamo dare. Per questo, il monito evangelico è molto chiaro: la stessa misura che avremo adottato nel giudicare gli altri, verrà usata verso di noi.
Sappiamo tutti che in un settore nascosto della nostra anima è custodito e continuamente aggiornato il registro degli eventi che ci hanno ferito: per rendersi disponibili al perdono (ottenuto e offerto) occorre cancellare con cura, dal libro della nostra storia, le offese ricevute e metterci così in condizione di essere amnistiati da Dio.
Certo, perdonare non è dimenticare, ma significa “purificare” la memoria, per evitare che il rancore ci impedisca di accogliere e di donare amore. Essere misericordiosi, perciò, non equivale a lasciar perdere, ma comporta vincere il male facendo il bene. Chi esercita il perdono è chiamato pure a impegnarsi per cambiare le situazioni negative che ha incontrato dentro e fuori di sé, ripristinando la giustizia. In tale prospettiva, perdonare è anche tensione a correggersi e a correggere, scegliendo, con lo stile di Gesù, i modi adeguati e i tempi opportuni. In sintesi: perdonare vuol dire rimuovere le frane esistenziali ed emotive che hanno ostruito la strada della relazione con Dio, con noi stessi e con gli altri, riattivando, su tutti i fronti, la circolazione della carità, che genera la comunione.
Il perdono, perciò, non va scambiato per debolezza, né va confuso con il permissivismo e la logica del lasciar fare: al contrario, esso richiede chiarezza di giudizio e un collaudato vigore spirituale. Scriveva san Giovanni Paolo II: «il perdono comporta sempre un'apparente perdita a breve termine, mentre assicura un guadagno reale a lungo termine. La violenza è l'esatto opposto: opta per un guadagno a scadenza ravvicinata, ma prepara a distanza una perdita reale e permanente. Il perdono potrebbe sembrare una debolezza; in realtà, sia per essere concesso che per essere accettato, suppone una grande forza spirituale e un coraggio morale a tutta prova» .
La condivisione di questi pensieri mi conduce a confidarvi, come metafora, alcuni ricordi. Quando ero giovane amavo andare al mare insieme ad altri amici, e spesso affittavamo una piccola barca per spingerci a largo e poi fare lunghe nuotate per raggiungere la riva. I pescatori ci avvisavano di rimanere sempre vigilanti, perché il mare cambia umore rapidamente, e da calmo diventa mosso nel giro di poco tempo. Per questo ci davano consigli per insegnarci l’arte di navigare anche quando le onde si fanno grosse e pericolose. Ci ammonivano di non prendere mai l’onda frontalmente (di prora!), perché la barca si impenna e poi ricade giù, sbilanciandosi. Raccomandavano pure di non lasciarsi sorprendere dalle onde che si rovesciano sulla fiancata, perché in questo caso la barca, investita su un lato, si rovescia. L’abilità del timoniere sta - ci spiegavano - nel prendere l’onda trasversalmente, cioè in diagonale, perché mantenendo questo assetto l’onda non scompensa l’equilibrio della barca ma, anzi, la spinge in avanti: così da minaccia si traduce in risorsa. Perciò la stessa onda, affrontata nel modo sbagliato, provoca un naufragio; presa bene si trasforma da energia avversa in forza propulsiva.
Nel corso degli anni, svolgendo il ministero sacerdotale, ho capito che ciascuno di noi deve cimentarsi in un viaggio, spesso faticoso, sul mare della propria vita. Nessuno può illudersi di solcare le acque della storia - personale e comunitaria - avendo sempre la superficie tranquilla e il vento favorevole. Prima o poi arrivano, impreviste, le “onde anomale”, che si abbattono sulla barca della nostra esistenza, e talvolta proprio sul lato in cui non ci aspettavamo mai che sarebbero giunte. Ogni adulto ha fatto esperienza di burrasche tormentose: sa bene, perciò, che può andare incontro ad esperienze di “mare mosso” (cioè, di situazioni penose, che si vorrebbe a tutti i costi evitare). Questi flutti minacciosi assumono “nomi” diversi (incomprensioni, delusioni, fallimenti, malattie, eventi distruttivi, ecc.), ma hanno un denominatore comune: la tendenza a provocare sconvolgimenti angoscianti e sofferenze profonde.
Occorre perciò, alla scuola di Gesù, apprendere l’arte evangelica di navigare in modo virtuoso in mezzo alle tempeste della vita, volgendo in positivo anche gli avvenimenti sfavorevoli. Alla luce di queste considerazioni, va detto con chiarezza che non sono le difficoltà a farci “colare a picco”, ma il fatto che non le sappiamo gestire con saggezza e coraggio. Infatti, gli stessi problemi, se fossero vissuti con maturità cristiana ed umana, diventerebbero spinte che ci portano a crescere e a migliorare. Perciò, se le “onde” avverse (cioè, le vicende ostili e le tribolazioni che ci investono) capovolgono la nostra “imbarcazione esistenziale” bisogna onestamente dire: «se siamo affondati (a livello psicologico, famigliare, relazionale, sociale…), e annaspiamo nelle acque, non è a causa delle onde, ma è perché le abbiamo prese male!».
La prontezza a perdonare - come insegna il Signore - ci consente di alleggerire la nostra “barca interiore”, scaricandola da pesi che ci impedirebbero di “manovrarla” adeguatamente quando incappiamo in qualche burrasca. Infatti, i risentimenti covati dentro, le inimicizie “militanti”, le aggressività graffianti costituiscono una pericolosa zavorra che ci spinge “in basso” e ci espone ad affrontare in modo errato le prove della vita. Perdonare conviene, anche perché le prime vittime del non-perdono siamo noi stessi.
Il segreto per mantenere, in tutto e ovunque, la serenità sta dunque nel vivere il Vangelo, nella Chiesa e come Chiesa: la fedeltà a Gesù - Verità, Vita e Via - non ci evita l’impatto con i problemi, anche gravi, ma ci consente di trasformare ogni evento in benedizione, diventando dispensatori di letizia e costruttori di pace.
La celebrazione della Perdonanza celestiniana ci aiuti - rinnovando l’“eccomi” di Maria - a testimoniare che il sole della gioia e della comunione può brillare sempre nel cuore dei credenti, qualunque cosa accada!
+ Giuseppe Petrocchi
Arcivescovo
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Il messaggio dell'Arcivescovo è stato tratto dal sito dell'Arcidiocesi dell'Aquila, www.diocesilaquila.it
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